APPARECCHIARE NEL TEMPO E NELLA CULTURA



Il padrone del pastificio, XIX secolo. Roma, Museo Nazionale delle Paste Alimentari

Mangiamaccheroni, XIX secolo. Roma, Museo Nazionale delle Paste Alimentari

Venditore di maccheroni, XIX secolo. Roma, Museo Nazionale delle Paste Alimentari

In alto: Alberto Sordi in una scena del film “Un americano a Roma”, 1954

Il consumo di pasta secca in Italia è più recente di quanto comunemente si creda. Introdotta dagli arabi nel IX secolo, la pasta rimase per lungo tempo un cibo costoso, poco diffuso sulle tavole degli italiani.
È solo nel Settecento che si diffuse più ampiamente e ben presto Napoli si affermò sia come centro di produzione che di consumo.
Abitualmente la pasta veniva cotta, venduta e mangiata per le strade. Il venditore ambulante organizzava la sua cucina servendosi di una grossa botte priva del fondo e riempita di sassi, sul cui lato si era praticata un’apertura per l’aria, un efficiente tiraggio. I carboni ardenti venivano poggiati sui sassi e su questi la pentola con l’acqua per cuocere i maccheroni.
Un semplice tavolo, a volte coperto da una modesta tovaglia su cui erano posti pane e vino, faceva da appoggio per i piatti colmi di spaghetti.
Niente forchette naturalmente: si raccoglievano abilmente dei piccoli grumi di pasta con le dita e, rovesciando con destrezza la testa all’indietro, si lasciavano cadere dall’alto nella bocca.
L’organizzazione poi si perfezionò: la botte fu sostituita da un mobile di legno e una bella tenda a righe colorate retta da due bastoni creava l’ombra necessaria agli avventori che spesso gustavano il piatto stando in piedi.
La pasta asciutta conquistò popolani e nobili: un vero appassionato fu re Ferdinando di Borbone che mangiava grandi quantità di pasta anche a teatro, durante l’intervallo, divorandola senza curarsi di usare alcuna posata.