APPARECCHIARE NEL TEMPO E NELLA CULTURA


Simon Luttichuys, Natura morta con bicchiere veneziano, 1650-1660 circa. Amburgo, Hamburger Kunsthalle

In alto: Gillis van Tilborgh il Giovane, Ritratto di famiglia, 1665-1670 circa. Budapest, Szépművészeti Múzeum

Durante il Rinascimento, i vetri si moltiplicarono sulle tavole principesche di gran parte d’Europa. E il primato per qualità materica e decorativa spettò senz’altro al vetro di Murano.
Alla metà del XV secolo, la produzione muranese conobbe un’importante innovazione tanto che per i vetrai veneziani si può parlare dell’avvio di una nuova epoca. Angelo Barovier, maestro vetraio di grande abilità, inventò il vetro cristallino, unico per grado di trasparenza. Il procedimento da lui elaborato consentiva di eliminare le impurità e la colorazione prodotta dall’impiego delle ceneri vegetali, ottenendo un vetro decisamente terso.
Già nei secoli precedenti, i vetri veneziani erano prodotti non solo per la richiesta interna ma anche per l’esportazione, che conobbe un notevole incremento proprio in questa età. I mercati del centro-nord Europa e dell’Impero ottomano erano particolarmente fiorenti e molte produzioni erano realizzate su diretta ordinazione di re e principi di quei territori. In grandi casse, avvolti in alghe della laguna per proteggere la loro fragilità, venivano spediti “bicchieri teutonici” e “bicchieri de Romània”.
Nel Cinquecento molti muranesi emigrarono Oltralpe e avviarono lì le loro fornaci, riproducendo tecniche e disegni à la façon de Venise. I vetri che così venivano prodotti si diffusero in abbondanza perché meno dispendiosi di quelli “originali”, ma sempre di gran pregio: emblemi di ricchezza e raffinatezza per le casate che li possedevano.