APPARECCHIARE NEL TEMPO E NELLA CULTURA

Libiamo ne' lieti calici

Il primo atto dell’opera La Traviata di Giuseppe Verdi propone nella seconda scena un celeberrimo brindisi in tempo di valzer. Libiamo ne’ lieti calici unisce in un gioioso canto tutti gli invitati raccoltisi nel salone della casa di Violetta che, insieme ad Alfredo, è protagonista del brindisi, inno all’amore e alla gioia di vivere. L’opera, tratta dal romanzo La signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio edito nel 1848, fu musicata da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave ed ebbe la sua prima rappresentazione il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia. Tra le molte trasposizioni cinematografiche, si menziona quella con la regia di Franco Zeffirelli, splendida per fotografia, scenografia e costumi.

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Peder Severin Krøyer, Hip Hip Hurrah!, 1888. Göteborg, Göteborgs Konstmuseum,

In alto: Brindisi tra due anziani norvegesi prima di una battuta di caccia, 1908.

Il brindisi, termine che attraverso la lingua spagnola (brindis) affonda le radici nel tedesco bring dir’s (lo porto a te), denuncia già nell’etimologia la sua origine nordica. Durante il medioevo, questa usanza di celebrare un evento lieto o favorevole sollevando i bicchieri e portandoli alla bocca, era ampiamente diffusa tra i popoli del nord.
Il brindisi fra gli svedesi e in seguito fra norvegesi, islandesi, danesi, anche prima del cristianesimo, aveva una precisa ritualità e un forte valore simbolico. Si alzava la coppa verso il cielo, inizialmente in onore della divinità, pronunciando la parola skål, poi si avvicinava al cuore e guardando negli occhi il compagno si incrociava con lui il braccio che reggeva la coppa. Si esprimevano così intenzioni leali e pacifiche. In seguito questo brindisi andò a siglare il giuramento fatto dai vassalli al proprio signore o la chiusura di un contratto andato a buon fine. La parola skål, che deriva da skålar, ciotola in legno, viene scandita durante i festeggiamenti ancora oggi.
Ma il brindisi non ebbe la stessa precoce diffusione nel resto d’Europa: in Italia, ancora a Cinquecento inoltrato, tale pratica non era vista di buon occhio, tanto che Giovanni della Casa, autore del Galateo overo de’ costumi, la considerava “biasimevole”.